di Rav Giuseppe Momigliano, rabbino capo di Genova

A partire da metà novembre, la città di TeL Aviv ha introdotto un servizio pubblico di autobus che circolano di Shabbat collegando anche alcuni cittadine circostanti. In quanto ebreo della diaspora, non posso entrare nel merito di quanto questa azione modifichi una precedente situazione di “status quo” nei rapporti tra i settori religiosi e laici della seconda città d’Israele; il fatto però che sia stata adottata questa risposta con l’intenzione di venire incontro all’esigenze che una parte, evidentemente considerevole della popolazione, avverte e manifesta sul modo di trascorrere lo Shabbat, tutto ciò mi riguarda molto direttamente, come riguarda ogni ebreo, per il fatto che lo Shabbat è una delle espressioni fondamentali della vita e dell’identità ebraica. Mi riguarda e mi preoccupa non meno degli altri temi della realtà israeliana che sono generalmente più al centro della nostra attenzione, da tutto ciò che riguarda la sicurezza alla situazione politica. Quello che io leggo in questo evolversi dei fatti è il dispiegarsi di una malattia in cui “il malato” rifiuta di riconoscersi come tale, anzi pretende di stare benissimo, e intende manifestare platealmente questo suo presunto stato ideale, i “medici” non trovano modo di curare il paziente, gli “amici lontani” assistono con incuriosita simpatia credendo di contemplare qualche idea interessante, senza accorgersi di trovarsi coinvolti da analoghi sintomi di un grave malessere. Continua a leggere su notizie su Israele