Sull’uccisione del capo dei pasdaran generale Suleimani si possono avere opinioni diverse. La si può considerare un legittimo atto di guerra in risposta ad altri atti di guerra di cui il gen. Suleimani portava la responsabilità, tanto più che egli non è morto nel suo letto, nella sua casa di Teheran, ma mentre si trovava in Iraq, sicuramente non in gita di piacere ma per continuare l’opera di destabilizzazione di quel Paese e per farne un ulteriore base di attacco contro Israele, dopo aver compiuto la stessa missione in Siria. Oppure la si può considerare un atto pericoloso, al di là di ogni giudizio sul ruolo del gen. Suleimani, in grado di produrre conseguenze negative nel quadro già tumultuoso del Medio Oriente. Si tratta di opinioni legittime, che vanno adeguatamente approfondite.
Quello che non è accettabile è il modo con cui affronta la questione Michele Serra, nel suo articolo su «Repubblica» del 5 gennaio scorso, dal titolo «Come il capo di una gang». Nel titolo c’è già tutto il contenuto dell’articolo. Anche su questo articolo si possono avere le opinioni più diverse ma almeno una cosa si può dire con certezza, che non ha certo il pregio dell’originalità. La raffigurazione dell’inquilino della Casa Bianca come del capo di una banda di gangster era negli anni dello stalinismo uno dei motivi ricorrenti della propaganda sovietica; anzi, esiste tutta un’antologia di vignette satiriche nelle quali Truman o Eisenhower vengono raffigurati nelle vesti di gangster di Chicago o di New York. Michele Serra passa per essere un raffinato umorista ma in realtà egli avrebbe potuto trovare un utile impiego come redattore del «Krokodil», la rivista satirica sovietica in auge negli anni ‘50 del ‘900. Non è detto che questa sua specializzazione non possa tornargli utile anche oggi, visti i tempi nei quali viviamo.
Ma la riflessione sull’articolo di Michele Serra non può fermarsi alla figura dell’autore ma rimanda alle caratteristiche del quotidiano nel quale è stato pubblicato. Quando nel 1976 Eugenio Scalfari fondò «Repubblica», nel panorama della stampa italiana soffiò un vento di rinnovamento. Un rinnovamento non solo tecnico – nel formato, nell’impaginazione, nel linguaggio – ma negli stessi contenuti: vi trovarono spazio i migliori giornalisti italiani, provenienti in buona parte dal «Giorno», il quotidiano che ancor prima aveva tentato un radicale rinnovamento del giornalismo italiano ma che era rimasto condizionato dall’essere di proprietà dell’ente petrolifero di Stato. Continua a leggere su Moked