di Marcello Cicchese

Il 21 gennaio 1999, in un discorso alla Sacra Rota, Giovanni Paolo II, anche in reazione a posizioni che sul tema del matrimonio stava assumendo il Parlamento Europeo, ribadì la linea tradizionale della chiesa cattolica:

    «Alla luce di questi principi può essere stabilita e compresa l’essenziale differenza esistente fra una mera unione di fatto – che pur si pretenda originata da amore – e il matrimonio, in cui l’amore si traduce in impegno non soltanto morale, ma rigorosamente giuridico. Il vincolo che reciprocamente s’assume, sviluppa di rimando un’efficacia corroborante nei confronti dell’amore da cui nasce, favorendone il perdurare a vantaggio della comparte, della prole e della stessa società. E’ alla luce dei menzionati principi che si rivela anche quanto sia incongrua la pretesa di attribuire una realtà “coniugale” all’unione fra persone dello stesso sesso. Vi si oppone, innanzitutto, l’oggettiva impossibilità di far fruttificare il connubio mediante la trasmissione della vita, secondo il progetto inscritto da Dio nella stessa struttura dell’essere umano. E’ di ostacolo, inoltre, l’assenza dei presupposti per quella complementarità interpersonale che il Creatore ha voluto, tanto sul piano fisico-biologico quanto su quello eminentemente psicologico, tra il maschio e la femmina. E’ soltanto nell’unione fra due persone sessualmente diverse che può attuarsi il perfezionamento del singolo, in una sintesi di unità e di mutuo completamento psicofisico. In questa prospettiva l’amore non è fine a se stesso, e non si riduce all’incontro corporale fra due esseri, ma è una relazione interpersonale profonda, che raggiunge il suo coronamento nella donazione reciproca piena e nella cooperazione con Dio Creatore, sorgente ultima di ogni nuova esistenza umana.»

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