Una delle caratteristiche più interessanti di Michael Sfaradi è quella di azzannare la realtà con il piglio dello scrittore di gialli. Giornalista appassionato di cose estere, in particolare israeliane, scrive pezzi da Gerusalemme e Tel Aviv con quel punto di vista che tradizionalmente non leggete sulla grande stampa italiana. Non vorremmo essere irrispettosi, ma chi si è abbeverato alle note di Dan Segre, il mitico corrispondente da Israele del “Giornale” di Indro Montanelli, ritrova nella verve e nel taglio di Sfaradi quello stesso spirito. Come avviene per gli altri romanzi che quest’autore ha scritto,
tutto parte da una storia di cronaca. Anche in questo libro ci troviamo di fronte a una Fauda, la straordinaria serie Netflix che racconta Intifada e terrorismo dal punto di vista israeliano, sotto forma di scrittura. Anzi, possiamo dire che la anticipa: è quell’aria là, quello scenario, quel modo di raccontare, quei personaggi, che Sfaradi tratteggia con grande sapienza. Tutto nasce alla fine di aprile del 2018. In questo intreccio tra romanzo e realtà.
Esattamente il 30 aprile, e questa è cronaca, il Premier israeliano Benjamin Netanyahu mostrò in diretta televisiva parte dell’archivio segreto relativo al progetto nucleare iraniano, che agenti del Mossad avevano trafugato a Teheran e portato in Israele. Secondo gli esperti dell’Intelligence israeliana e della CIA, che poterono visionare il materiale prima della rivelazione in mondovisione, quei documenti, rapporti, video e fotografie erano le prove che l’Iran, dopo aver firmato l’accordo che avrebbe dovuto fermare lo sviluppo militare delle ricerche nucleari, stava ingannando il mondo intero. Nel corso della conferenza stampa in diretta tv, il Premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva smascherato il governo degli Ayatollah, dicendo: “Ecco le prove che il programma iraniano cerca ancora di creare l’arma atomica.” Secondo le rivelazioni, l’archivio segreto era stato trovato e prelevato a Teheran dagli agenti israeliani in un edificio che dall’esterno sembrava un normale magazzino. L’obiettivo dei Pasdaran, aveva poi affermato Netanyahu, era quello di produrre e installare su un missile balistico una testata nucleare con potenza pari a cinque volte la bomba che distrusse Hiroshima. Israele, per poter provare al mondo la malafede iraniana, aveva rinvenuto e prelevato 55.000 file di informazioni che incriminavano l’Iran, e lo fece eseguendo una vasta operazione d’intelligence in una località segreta della quale, durante la conferenza, fu mostrata anche un’immagine. Il peso totale del materiale arrivato a Gerusalemme era di cinquecento chilogrammi.
Questa storia, che forse, stancamente, in un angolo della vostra memoria trova ancora posto, viene ripresa da Sfaradi con la sapienza dello scrittore e la precisione del giornalista che conosce i dettagli. “Il Mossad era famoso più per quello che non si sapeva di lui che per ciò che negli anni era venuto alla luce, ma quello che impressionava i più e intimoriva i nemici era quell’aureola di imbattibilità e il mito che, nel corso degli anni, si era creato intorno a quella parola, Mossad, che in Israele è di uso comune ma che nel resto del mondo fa gelare i polsi.” Niente di più vero. Negli scritti di Sfaradi, il Mossad è fatto di persone in carne e ossa, del loro addestramento, delle loro paure, dei quattrini che maneggiano e dei loro amori. Non è più un mito, è materia viva per un romanzo.
In Mossad. Una notte a Teheran viene creato uno scenario di fantasia, e si cerca di cogliere il retroscena, anche operativo, giallistico, di come potrebbe essersi svolta la vicenda e quali intrighi internazionali potrebbero averla caratterizzata fino al momento in cui i servizi israeliani, su ordine del loro governo, decisero l’operazione di recupero degli archivi segreti sul nucleare iraniano. Nel racconto si ricostruiscono anche le tensioni politiche, diplomatiche e militari, che caratterizzarono il periodo che precedette le rivelazioni del primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu basate proprio sui documenti recuperati. Il personaggio principale è Apostolo 04, l’agente che faceva parte di una rete di dodici infiltrati. Nel romanzo viene spiegata la dinamica dell’arruolamento nei servizi segreti israeliani degli agenti destinati a essere infiltrati in Iran e qui viene raccontata la sua storia, quella per l’appunto di Apostolo 04, al secolo Ilan Ghorbani.
Ilan, già ufficiale dell’esercito, nasce in una famiglia di origini persiane che lasciò Teheran alla caduta dello Scià. In famiglia ha appreso le tradizioni iraniane, conosce usi, costumi e la lingua farsi parlata, ma non scritta e non letta. Un corso approfondito tenuto da Saman Yeganeh, anche lei figlia di una famiglia scappata all’arrivo di Khomeini, sarà parte dell’addestramento.
Dopo aver superato il corso Ilan viene inviato a Berlino a farsi le ossa e passa la maggior parte del tempo a prendere informazioni sugli israeliani residenti nella capitale tedesca e, soprattutto, sulle loro frequentazioni. Lavoro di routine fino a quando, proprio durante una di queste semplici missioni, vede arrivare una donna bionda in compagnia di un uomo dall’aspetto mediorientale. La coppia è strana e lui li segue per capire cosa portasse due persone del genere in un pub frequentato da universitari. La bionda e l’uomo vanno sul retro del locale e superano un’uscita di emergenza dove incontrano un terzo uomo. Origliando, Ilan ascolta parole molto interessanti che riguardano progetti di centrifughe per l’arricchimento dell’uranio. E da qui si dipana la lunga tela del giallo.
In questo romanzo non ci sono buchi di sceneggiatura. La storia è avvincente. La trama è scritta partendo dalla cronaca, dalla realtà ed è quella delle rocambolesche operazioni coperte tipiche del Mossad e dunque assume un fascino particolare non solo e non tanto per il risultato, ma per il modo con il quale è stato raggiunto. Non vi aspettate da Sfaradi un semplice romanzo, un giallo costruito dietro a un titolo di un telegiornale: c’è molto di più. La passione per il proprio Paese, la lettura non convenzionale di un pezzo dei rapporti della geopolitica in Medio Oriente, e una penna favolosa che non vi annoia mai. Sono tanti episodi di una vicenda umana pericolosa, ma affascinante al tempo stesso. Quando avrete terminato la lettura di Mossad. Una notte a Teheran, leggerete le vicende del Medio Oriente in modo diverso, sempre con il retro pensiero che ora, in questo momento, stia avvenendo qualcosa di grosso. A vostra insaputa. Forse per sempre o forse, come nel caso degli archivi nucleari, da concedere in pasto all’opinione pubblica. Un bellissimo romanzo, che vi racconta un pezzo di realtà, che potete immaginare, ma che difficilmente sarete in grado di scrivere bene come Michael Sfaradi.
Nicola Porro