News del 19 Gennaio 2024  Traduzione di Monica Tamagnini

Una scena sorprendente nel film del 1987 “La Principessa Sposa” e’ quella in cui il conte Rugen sta per trascinare via Westley per essere torturato a morte. Prima, però, Rugen deve ingannare l’eroina Bottondoro, fingendo di aiutare Westley nel suo viaggio verso una nave che lascia il regno. Rugen dichiara: “Vieni, signore, dobbiamo portarti sulla tua nave!” Ma Westley sorride ironicamente e dice: “Siamo uomini d’azione. Le bugie non si addicono a noi.” Il Conte fa un sorrisetto e risponde: “Ben detto, Signore”. Il pacato discorso diplomatico di Rugen nascondeva intenti malvagi.
  • Lo scrittore americano Isaac Goldberg una volta disse: “La diplomazia è fare e dire le cose più brutte nel modo più carino” (in “The Reflex”, ottobre 1927).
  • Prima di diventare uno dei più grandi assassini di massa che il mondo abbia mai conosciuto, Joseph Stalin una volta scrisse: “Le parole di un diplomatico devono contraddire le sue azioni, altrimenti che razza di diplomatico è? Le parole sono una cosa, i fatti qualcosa di completamente diverso. Le belle parole sono una maschera per coprire azioni losche. Un diplomatico sincero è come l’acqua secca o il ferro di legno» (Joseph Stalin, Elezioni a Pietroburgo, 1913).
  • Qualcuno ha recentemente affermato che la diplomazia è l’arte di vendere un accordo che non vuoi, a persone di cui non ti fidi, per ragioni che non vuoi ammettere.
Parole che ci aiutano a considerare in maniera equilibrata i recenti eventi in Medio Oriente.
 
 
“Fonti diplomatiche anonime dicono…”

Spesso, oggi, la diplomazia fa trapelare citazioni da “fonti non attribuite” ai media mondiali. Queste citazioni anonime, sebbene di natura spersonalizzata, rappresentano la vera politica del governo e le sue azioni future. Eppure, vengono lanciate come se fossero semplici “suggerimenti di possibilità future”. Dopotutto, queste politiche potrebbero dover essere ritirate nel caso in cui infuriasse la protesta pubblica. L’ex ambasciatore americano in Israele e Russia Thomas Pickering lo ha affermato in questo modo: “In archeologia si scopre l’ignoto. In diplomazia si copre il conosciuto”.

Negli ultimi tre mesi di guerra – innescata il 7 ottobre 2023 dagli attacchi demoniaci e dalle atrocità del gruppo terroristico jihadista Hamas contro i cittadini israeliani residenti nei pressi della Striscia di Gaza – i governi occidentali sono stati inizialmente comprensivi e solidali nei confronti della sofferenza di Israele. Hanno anche mostrato una certa comprensione nei confronti della determinazione dello Stato ebraico a voler distruggere le forze jihadiste responsabili.


Molto rapidamente, pero’, sono arrivate “condizioni” e “limitazioni” da parte dell’Occidente, che, se inizialmente sono state espresse in forma di “preoccupazioni”, nel giro di un mese o due si sono trasformate in politica statale:
 
  • Inizialmente l’Occidente ha permesso a Israele di eliminare i terroristi di Hamas che si nascondevano tra la connivente popolazione di Gaza. La strategia di guerra di Hamas si fonda sull’utilizzo della popolazione di Gaza come scudo umano, per poi sfruttare le sofferenze che ne derivano e cercare di volgere l’opinione pubblica mondiale contro Israele. Infatti, proprio la settimana scorsa, Israele è stato portato davanti alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia, accusato di genocidio da molti paesi – nonostante si stesse semplicemente difendendo dagli attacchi genocidi delle forze jihadiste.
  • Israele ha ricevuto lezioni da Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania in merito alla necessità di consentire e aumentare il flusso di aiuti umanitari agli abitanti di Gaza – cibo, acqua, elettricità, medicine – ma questi aiuti sono finiti direttamente nelle mani di Hamas. Ciò è servito a rafforzare la loro macchina da guerra jihadista, che ha continuato a lanciare razzi contro la popolazione civile israeliana e a trattenere ostaggi israeliani. POTUS Biden aveva promesso che tali aiuti non sarebbero mai finiti nelle mani di Hamas, ma le sue promesse non hanno trovato seguito. Hamas si appropria quotidianamente degli aiuti umanitari diretti alla popolazione di Gaza, senza che la comunità internazionale intervenga per fermarli. Le richieste dell’Occidente in merito agli aiuti umanitari si sono presto trasformate in pretese – pretese che hanno privato Israele della sua capacità di fare pressione su Hamas, affinché rilasci gli ostaggi israeliani (gli ostaggi sono soggetti a immani crudeltà, tra cui la tortura e lo stupro da parte dei jihadisti). Israele è costretto dall’Occidente ad aiutare i propri nemici, mentre questi ultimi torturano gli ostaggi israeliani nei tunnel jihadisti di Gaza.
  • Subito dopo i pogrom del 7 ottobre, il Dipartimento di Stato americano ha espresso la chiara consapevolezza che Hamas doveva essere sottratto al controllo di Gaza e che non era certo il momento giusto per forzare la creazione di uno stato terrorista palestinese a Gaza o in Cisgiordania. Ma nel giro di due mesi, prima “fonti anonime” nell’amministrazione americana e poi il POTUS, il Segretario di Stato e altri portavoce ufficiali degli Stati Uniti iniziarono a dichiarare che l’ OLP / l’Autorità Palestinese (a sua volta un’organizzazione terroristica – vedi https://davidstent.org /caiaphas-kissinger-and-the-cia/ e https://davidstent.org/understanding-the-times/) dovevano prendere il posto di Hamas e fondare uno stato palestinese sia in Cisgiordania che a Gaza. A questo punto, solo il 7% degli israeliani ritiene che un simile Stato sarebbe una buona cosa. La stragrande maggioranza crede che lo Stato dell’OLP verrebbe rovesciato in breve tempo da una popolazione palestinese che sostiene apertamente Hamas e le atrocità commesse il 7 ottobre. Gli israeliani sanno che tutti i leader palestinesi sono terroristi e che qualsiasi spinta internazionale volta a creare uno stato palestinese rappresenterebbe la continuazione del terrorismo – terrorismo simile a quello di Hamas. Le nazioni che spingono per la creazione di uno stato palestinese si trovano davanti una nazione ebraica unita e in totale opposizione a un simile progetto.

Così come l’ex presidente Barak Obama non ha realisticamente percepito la minaccia iraniana nei confronti del Medio Oriente, di Israele e del mondo, ma ha invece aperto le chiuse finanziarie e ha favorito un percorso scivoloso verso l’arma nucleare, oggi altri leader stanno ripetendo gli stessi errori esistenziali nel conferire potere ed energia politica ai mostri jihadisti.

 
 
Israele, la nuova repubblica delle banane

In una recente newsletter (https://davidstent.org/you-dont-have-too-many-friends-here-buddy/; 2 novembre 2023) ho sottolineato come “fonti statunitensi anonime” hanno fatto notare che “sarebbe un peccato se dovesse succedere qualcosa al meraviglioso governo democratico di Israele”. Facevano inoltre notare che, nel caso in cui dovesse davvero succedere qualcosa al governo Netanyahu, “gli assistenti di Biden stanno già prendendo in considerazione una serie di politici israeliani – alcuni al potere, altri no – da coinvolgere nello sforzo bellico. Secondo i due [anonimi] alti funzionari dell’amministrazione, nonché l’attuale ed ex [anonimo] funzionario statunitense, questi colloqui hanno anche fornito parametri secondo cui valutare il pensiero dei vari israeliani che potrebbero prendere il timone del paese. Mentre i funzionari dell’amministrazione Biden hanno offerto pubbliche dichiarazioni di solidarietà al governo israeliano durante l’attuale crisi, gli assistenti stanno cercando di anticipare ciò che la caduta di Netanyahu potrebbe significare per il futuro rapporto israelo-americano. Netanyahu non è uno dei favoriti dalla squadra di Biden. Le sue posizioni, sempre più intransigenti nel corso degli anni, hanno sconvolto i sostenitori di Biden, che ancora spingono per la creazione di uno stato palestinese. Con uno sguardo al futuro, funzionari statunitensi [senza nome] si stanno interfacciando con Benny Gantz, membro dell’attuale governo di unità nazionale, Naftali Bennett, ex primo ministro, e Yair Lapid, leader dell’opposizione ed ex primo ministro. “Queste sono solo alcune delle figure israeliane coinvolte”, ha detto l’ex funzionario [anonimo].
 
“Anche se lo scenario, a seguito di questa guerra, dovesse risultare il migliore per Israele, non sarebbe probabilmente sufficiente per manterrebbe Netanyahu al potere”, ha affermato Hagar Chemali, ex funzionario del Consiglio di Sicurezza Nazionale e del Dipartimento del Tesoro dell’amministrazione Obama. “Credo che Netanyahu stia per uscire di scena. Gli israeliani si stanno chiedendo se sia davvero la persona giusta, non solo per vincere questa specifica battaglia contro Hamas, ma la guerra più ampia per un Israele che possa vivere in pace e sicurezza”. Bibi è stato eletto e rieletto Primo Ministro nel corso delle elezioni israeliane; ha servito più a lungo di qualsiasi altro Primo Ministro, anche più a lungo di Ben-Gurion. Eppure i funzionari del Dipartimento di Stato americano – parlando in forma anonima – sembrano conoscere gli Israeliani, e quel che essi pensano, ancora meglio degli Israeliani stessi.

Trattare lo Stato ebraico in questo modo equivale a trattarlo come una repubblica delle banane. Il termine “repubblica delle banane” fu trovato per la prima volta su stampa nel 1904. Descriveva le realtà sociali e politiche dell’America Centrale. Questo termine può essere utilizzato in maniera peggiorativa per descrivere un paese debole che aiuta e sostiene una potenza (o superpotenza) più forte in cambio di determinate tangenti o vantaggi. La realpolitik americana, nei confronti dei paesi centroamericani produttori di banane, è stata spesso caratterizzata da questo termine.
 
La storia ci mostra che, quando Israele tenta di rivendicare la terra promessagli da Dio e i suoi confini biblici, o quando l’esercito dello stato ebraico tenta di schiacciare in modo decisivo i suoi nemici, è allora che varie superpotenze intervengono come a voler regnare su Israele, impedendo il raggiungimento di tali obiettivi. Ciò si e’ verificato quando la Russia ha minacciato di usare armi nucleari nel 1956 e nel 1973, e quando gli Stati Uniti ordinarono a Israele di ritirarsi nel 1991, 2006 e 2021.

Nel 2021 POTUS Biden ha fatto molte chiamate al primo ministro Netanyahu durante l’operazione “Guardian of the Walls” (“Guardiano delle Mura”) di maggio. Durante la loro quarta telefonata, il 19 maggio 2021, Biden era scontento del fatto che Israele insistesse per inferire il colpo di grazia a Hamas. “Ehi, amico, siamo fuori pista qui. È finita!” ha detto Biden. Il Times of Israel riporta: “Netanyahu ha accettato un cessate il fuoco due giorni dopo. Il leader di lunga data del Likud fu sostituito un mese dopo da un governo di unità di breve durata, guidato da Naftali Bennett e Yair Lapid.

 
 
Il trono di spade

Un articolo del 18 gennaio 2024 su ynetnews.com solleva il velo e rivela i denti che esercitano pressione su Israele. L’amministrazione americana sta minacciando di fare quello che ha già fatto nel 2021: muoversi dietro le quinte contro il governo, democraticamente eletto, di Israele per istituirne uno nuovo – uno più pronto a piegarsi alle direttive americane riguardo alla creazione di uno stato palestinese (“la soluzione a due stati”). Questo stato sarebbe gestito da terroristi a Gaza e in Cisgiordania. Ecco una prova evidente di queste macchinazioni machiavelliche:
  • “L’amministrazione Biden sta scavalcando il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu per quanto concerne i piani relativi a una Gaza del dopoguerra, discutendo del futuro della Striscia e della regione con l’Arabia Saudita e con altre nazioni arabe moderate. . . Citando funzionari [anonimi], [un rapporto] afferma che il presidente degli Stati Uniti ha espresso la sua frustrazione nei confronti di Netanyahu, come evidenziato dalla mancanza di comunicazione tra i due leader nelle ultime settimane, dopo che si erano parlati regolarmente in seguito all’attacco di Hamas del 7 ottobre. . . I funzionari hanno affermato che l’amministrazione Biden sta cercando di gettare le basi con altri leader israeliani e con leader della società civile in previsione di un eventuale governo post-Netanyahu. Nel tentativo di aggirare Netanyahu, due alti funzionari dell’amministrazione [anonimi] hanno detto alla rete che le speranze di Biden potrebbero dover aspettare fino a quando in Israele non andrà al potere un governo diverso. Tali speranze sono incentrate su un cambiamento regionale che rimodellerebbe il Medio Oriente, legate alla creazione di uno stato palestinese.
  • Il Dipartimento di Stato americano Matthew Miller ha indicato che il primo ministro israeliano ha respinto la spinta americana per uno stato palestinese a Gaza e in Cisgiordania. Miller ha affermato che Israele “dovrà affrontare alcune scelte molto difficili nei prossimi mesi. . . Il conflitto a Gaza finirà. Finirà e, alla fine del conflitto, qualcuno dovrà ricostruire Gaza, qualcuno dovrà governare Gaza, qualcuno dovrà garantire la sicurezza a Gaza. . . Per la prima volta nella storia, i paesi della regione sono pronti a farsi avanti, a integrarsi ulteriormente con Israele e a fornirgli una reale garanzia di sicurezza. Gli Stati Uniti sono pronti a fare la loro parte, ma tutti quanti devono trovarsi di fronte un partner disponibile. . . Non c’è modo di risolvere le sfide – ne’ a lungo termine, ne’ a breve termine – che Palestinesi e Israeliani si trovano as affrontare, senza la creazione di uno stato palestinese. Abbiamo tenuto conversazioni dirette con [Netanyahu], e ora manteniamo anche una conversazione pubblica con lui, ma sarà un processo”.
  • Il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan è intervenuto questa settimana al forum economico mondiale del 2024 a Davos, in Svizzera, sottolineando il punto di pressione da parte degli Stati Uniti:
  • “Un’iniziativa diplomatica centrale dell’amministrazione Biden è stata quella di cercare di generare sia benefici tangibili per il popolo palestinese, sia un orizzonte politico che porti alla soluzione a due stati. . . Ora, la strategia post-7 ottobre non si discosta molto da questa. Vogliamo ancora vedere la normalizzazione legata a un orizzonte politico per il popolo palestinese. L’attuale governo israeliano ha espresso pubblicamente opinioni piuttosto forti sulla questione palestinese. Ma alla fine, si sa, il governo israeliano dovrà fare la sua scelta su come garantire e assicurare al meglio la sicurezza dello Stato di Israele, ed è ferma convinzione del presidente Biden che il modo migliore per farlo siano due Stati”.
  • Parte di questa pressione concertata può essere vista nei media israeliani, che seguono obbedientemente la linea e i punti di discussione politici dell’amministrazione statunitense. Il Jerusalem Post online di oggi, 19 gennaio 2024, evidenzia tre articoli che sembrano tutti scritti accanto al Potomac. Ecco i titoli: “Netanyahu, il gabinetto di guerra israeliano non può più ritardare gli appelli per Gaza;” “Il governo di emergenza di Israele è prossimo al collasso mentre la guerra di Gaza continua;” “L’era di Benjamin Netanyahu è finita, dicono fonti del Likud”.
 
Il giorno dopo il giorno dopo
 
Il discorso americano si incentra sulla frase “il giorno dopo” e sui piani israeliani a seguito della sconfitta di Hamas da parte dell’esercito IDF (leggi: uno Stato palestinese). Al momento, gli Stati Uniti e l’Occidente sono impegnati ad ostacolare la sconfitta definitiva di Hamas da parte di Israele – come hanno fatto negli ultimi vent’anni –  e non e’ cosi scontato che ci sarà “un giorno dopo Hamas”. Ultimamente sta emergendo un nuovo concetto: il giorno dopo Bibi Natanyahu. “Dato che Netanyahu non sembra volersi piegare alle nostre direttive per la fondazione di uno stato palestinese, stabiliremo un governo israeliano diverso e dopo fonderemo lo Stato Palestinese.” La risposta di Netanyahu a un simile scenario e’ stata diretta: “Coloro che parlano del giorno dopo Netanyahu, parlano della creazione di uno stato palestinese governato dall’Autorita’ Palestinese.” E ha aggiunto: “
 
  • “I territori da cui ci ritiriamo possono tutti trasformarsi in basi terroristiche rivolte contro di noi. Tali territori includono il sud del Libano, Gaza e la West Bank, ovvero la Giudea e la Samaria. Questa e’ la ragione per cui Israele deve mantenere il controllo di tutti i territori a ovest del fiume Giordano. Questo cozza con l’idea di una sovranità palestinese, ma non c’e’ nulla che si possa fare in merito. Ho spiegato questo agli Americani. Un Primo Ministro israeliano deve poter essere in grado di dire di no ai suoi migliori amici. Dire di no quando ciò si rende necessario, e dire di si quando ciò e’ possibile.”
  • E’ stata saggia le risposta data da Ahab Re d’Israele a Ben Hadad, re di Aram/Syria, in merito alla presunta vittoria in battaglia senza il consiglio YHVH: “Chi abbraccia le armi farà bene a non vantarsi come colui che le depone”. 
 
Come sara’ il “il giorno dopo” per quelle nazioni che stanno spingendo Israele a sottomettersi alla loro volontà e a porzionare la Terra Promessa, cedendola a jihadisti assassini? (Molti di essi sono discendenti di Edom – vedi Ezechiele 25:12-14 e Ezechiele 36:1-15). Ecco come si preannuncia “il giorno dopo”. Queste costrizioni stanno portando il giudizio del Dio di Giacobbe sulle nazioni che si sono esposte alla maledizione (Gioele 3:1-2; Genesi 12:3).
 
 
Risolvere il conflitto senza un accordo di pace
 
 Concludero’ questa newsletter con quattro citazioni, su cui vale la pena riflettere:
 
  • “Non abbiamo alleati eterni, come non abbiamo eterni nemici. I nostri interessi sono eterni e perpetui ed e’ nostro dovere seguire tali interessi.” Henry John Temple, 3d Viscount Palmerston. Intervento alla Casa dei Comuni in difesa della sua politica estera. 1 marzo 1848 —Hansard’s Parliamentary Debates, 3d series, vol. 97, col. 122.
  • “Un vero diplomatico e’ colui il quale riesce a tagliare la gola al proprio vicino, senza che questo se ne accorga” (Trygve Lie, primo Segretario-Generale delle Nazioni Unite)
  • “Un diplomatico e’ una persona che sa mandarti all’inferno con una classe tale, da farti addirittura desiderare il viaggio” (St. Louis Star-Times”; Missouri, novembre 1937)
  • “Si giunge ad una risoluzione quando una delle due parti si rende conto di non essere più in grado di perseguire i propri obbiettivi e vi rinuncia. Ciò si verifica a seguito di una sconfitta militare (come nella Seconda Guerra Mondiale) o di un disfacimento interno (come nella Guerra Fredda). In ogni caso che io ricordi”, scrive lo stratega Michael Ledeen, “la pace e’ stata il risultato di una guerra in cui c’e’ stato un vincitore e un vinto. Il vincitore ha imposto le proprie condizioni al vinto. Tali termini sono stati chiamati ‘pace’.  Nessun conflitto di grosse proporzioni si e’ mai concluso grazie agli schemi più o meno furbi di qualcuno. L’idea che un ‘processo di pace’ possa sostituirsi allo sporco lavoro della guerra e’ un’illusione.” Continuando a citare Ledeen, “non si può arrivare alla pace attraverso un qualche inviato che faccia sedere tutti attorno al tavolo dei negoziati – che sia o meno in possesso di una laurea in negoziazione dalla Harvard Business School. Il mantra secondo il quale ‘non esiste soluzione militare’ e’ in realtà una bufala.” (‘The Only Solution [for Israel] is Military – ‘L’unica soluzione [per Israele] e’ militare’ New York Post, 25 febbraio 2002)
 
Come pregare ?
 
  • Chiediamo al Dio di Israele di concedere comprensione e rivelazione ai leader di Israele cosi che possano agire in modo pro-attivo a fronte delle pressioni delle superpotenze e della stregoneria.
  • Preghiamo affinché venga restituito un ministero profetico sano e biblico ai leader di Israele.
  • Preghiamo affinché il corpo del Messia sparso sulla faccia della terra sia mosso dallo Spirito Santo all’intercessione, mentre ci avviciniamo alla Terza Guerra Mondiale.
  • Preghiamo per il salvataggio dei circa 136 ostaggi israeliani (inclusi i bambini) rapiti da Hamas, dalla Jihad islamica e dalla PFLP/PLO. Gli ostaggi sono soggetti a torture, stupro e soffrono la fame (sulla base della testimonianza di ostaggi recentemente liberati). Hamas trattiene anche molte salme per utilizzarle come merce di scambio.
  • Preghiamo che la crudele dittatura di Hamas venga debellata in modo definitivo e che siano spezzate le catene che legano i Palestinesi. Preghiamo per una Palestina libera dal controllo jihadista.
  • Preghiamo che il ruolo giocato dall’Iran nell’inganno e nella dissimulazione jihadista venga esposto alla luce, riconosciuto e rigettato dai leader politici mondiali.
  •  Preghiamo che ai governanti di Israele siano concesse giustizia e chiarezza, insieme a coraggio morale, discernimento e strategie divine per poter eliminare completamente la minaccia jihadista in ogni sua forma.
  • Preghiamo affinché la perdita di vite umane sia la minore possibile tra i soldati israeliani e i civili di Gaza che sono veramente innocenti.
  • Preghiamo per l’esercito profetico ebraico in tutta la terra secondo la profezia di Ezechiele.
 
Le vostre preghiere e il vostro sostegno ci permettono di proseguire nell’opera che Dio ci ha affidato. 
 
Nel Messia Yeshua,
 
Avner Boskey