Analisi di Giulio Meotti

Sabato, di fronte alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera, il presidente israeliano Isaac Herzog ha tirato fuori un libro intitolato “La fine degli ebrei”. I soldati israeliani lo hanno trovato in una casa a Gaza. L’autore del libro è uno dei fondatori dell’organizzazione terroristica Hamas nel 1987, il chirurgo Mahmoud al Zahar. Il libro, un “progetto per l’annientamento del popolo ebraico”, è stato scoperto nel quartiere di Al Furqan nella Striscia di Gaza ed è stato mostrato da Herzog al pubblico monacense durante una conversazione con il commentatore David Ignatius.
Zahar, uno dei fondatori di Hamas assieme allo sceicco Ahmed Yassin ed ex ministro degli Esteri dell’Autorità Palestinese, si dimostra degno allievo dell’ayatollah Khamenei. La Guida Suprema dell’Iran ha infatti pubblicato un libro intitolato “Palestina” nel quale spiega la distruzione del “regime sionista”. “Nabudi” (annientare), “imha” (dissolvere) e “zaval” (cancellare): le tre parole attorno a cui ruota il progetto iraniano su Israele, indicato come “adou” (nemico) e “tumore canceroso”. Spiega Khamenei che il suo piano non comporta una “guerra classica”, ma una lunga guerra a bassa intensità che punti a “logorare” la resistenza degli israeliani e della comunità internazionale. Il  piano iraniano si basa sul presupposto (infondato) che tutti gli israeliani abbiano la doppia cittadinanza e che preferirebbero vivere negli Stati Uniti o in Europa se la vita in Israele diventasse difficile e dolorosa. Khamenei raccomanda pertanto di rendere la vita in Israele tanto difficile da costringere gli israeliani ad andarsene per sottrarsi alle minacce che incombono su di loro. Khamenei descrive la tattica di indurre la comunità internazionale a “non poterne più di Israele” sino al punto in cui l’occidente si renderà conto che sostenere il “progetto sionista” è troppo oneroso e abbandonerà Israele.
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