Esponenti dell’associazionismo insieme alla sinistra radicale e agli antagonisti si sono ritrovati sabato a Milano. Tra i presenti anche l’ex deputato pentastellato Alessandro Di Battista. Danneggiato il Carrefour. E spuntano cartonati della premier Meloni, del ministro Salvini e di Netanyahu.

di Matteo Castagnoli e Pierpaolo Lio

Kefiah al collo e inni all’Intifada. Richieste di cessate il fuoco e bandiere (israeliane e statunitensi) bruciate. Per l’ennesimo sabato, il popolo filopalestinese sfila in piazza a Milano, questa volta in versione evento «nazionale»: alla fine saranno 20 mila i manifestanti, provenienti da un po’ tutto il Centro e Nord Italia.
  Un enorme corteo e tante anime — palestinesi, immigrati nordafricani, sindacalismo di base, il mondo dell’associazionismo, la sinistra radicale, gli antagonisti — che marciano dietro le parole d’ordine «con la resistenza palestinese, blocchiamo le guerre coloniali e imperialiste», come da striscione bilingue d’apertura. Per tutto il pomeriggio manderanno al collasso il traffico caotico di una città già messa alla prova dall’assalto del popolo della moda.
  Ma i timori di un replay degli scontri avvenuti il giorno prima a Firenze e Pisa sfumano in un paio di momenti di tensione, che si registrano quando le frange più estreme provano a sfidare l’imponente dispositivo di sicurezza.
  Alla fine, a far più discutere saranno i cartelli con i volti della premier Giorgia Meloni, del ministro Matteo Salvini e del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, tra gli altri, macchiati di vernice rossa, come fosse sangue posticcio. «Predicano pace ma diffondono odio e violenza, accarezzando i terroristi di Hamas. Senza vergogna», è la reazione immediata del vicepremier e leader leghista in un post sui social.
  In mezzo alla folla, a manifestare dopo aver raccolto le firme per una legge «per il riconoscimento di uno Stato di Palestina», c’è invece l’ex cinquestelle Alessandro Di Battista. Per strada, il corteo sembra sottoposto a una cura a base di ormone della crescita: più cammina, più i partecipanti si moltiplicano, come le bandiere palestinesi che spuntano ovunque e in ogni foggia. All’arrivo delle avanguardie nel cuore della città, nel centralissimo largo Cairoli, meta finale a due passi dal Duomo, i militanti che stanno in coda saranno ancora impegnati ad avanzare a metà percorso, marciando al ritmo della hit pacifista sanremese di Ghali, divisi dai primi da quasi un’ora di cammino.
  In un paio d’occasioni, dalla manifestazione, pacifica, si sganciano piccoli gruppi con intenzioni più battagliere. Si muovono rapidi, hanno i volti coperti, e in piazza Repubblica provano a deviare dal tragitto. Il loro obiettivo è raggiungere il vicino consolato americano, ma saranno subito bloccati dalle forze dell’ordine. La reazione sono le fiamme a una bandiera israeliana e a una a stelle strisce, seguito da un fitto lancio di uova (e un paio di grossi petardi che però non scoppiano) contro i reparti mobili schierati in assetto antisommossa.
  Il secondo tentativo si registra qualche centinaio di metri più avanti. Sono sempre in pochi a muoversi, e sempre a volto coperto. Danneggiano la vetrina del Carrefour, colosso francese della distribuzione secondo loro «colpevole» di contribuire alla guerra israeliana a Gaza. Poi iniziano una sassaiola contro alcune auto delle forze dell’ordine: le pietre danneggiano due vetture della Guardia di Finanza e una della polizia locale. All’interno di quest’ultima, un’agente rimane ferita dai frammenti di vetro del lunotto che finisce in frantumi.
  I fumogeni segnano la fine della lunga giornata di protesta. È il rompete le righe. Ad anticiparlo è l’iniziativa di un antagonista: s’arrampica sulla statua di Garibaldi per dare alle fiamme un’altra bandiera d’Israele.

 

(Corriere della Sera, 25 febbraio 2024)
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“Predicano pace ma diffondono odio e violenza”, ha detto Matteo Salvini. Ha torto? Sì, risponderà qualcuno, anzitutto perché l’ha detto il segretario della Lega, e questo basta per non darvi credito, almeno in certe zone dell’area politica. E poi, dicono, i manifestanti sono contro le guerre coloniali, quindi sono per la pace e contro le guerre d’odio delle potenze imperialiste.
Ma è chiaro che si tratta di odio. Puro odio contro lo Stato d’Israele, centro e punto di riferimento di tutti gli ebrei sparsi per il mondo. Puro odio che si rivela come approvazione dell’odio con cui si è compiuto il massacro del 7 ottobre.
Questa perla di odio si arricchisce poi di una grande varietà di sfumature tra il politico e il religioso, ma non è necessario indagarne le radici, gli sviluppi e le circostanze che ne hanno favorito il concretarsi, perché quello che conta è la chiarezza dell’obiettivo da raggiungere: gli ebrei.
Ma non è vero che è antisemitismo – obietterà qualcuno -, non tiriamo fuori la solita storia dell’antisemitismo perché oggi è diverso, diranno. E ti elencheranno gli antisemitismi del passato; e ti faranno notare le differenze; e ti diranno che oggi è tutto diverso. Continua  a leggere su NsI