Estratto dal nuovo libro di Giulio Meotti

Il 7 ottobre 2023 è festa in Israele. Si onora il Sabato di Simchat Torah, la gioia della Torah che segna la fine degli otto giorni di festività di Sukkot. Migliaia di razzi vengono lanciati contro le città israeliane di Sderot, Ashkelon, Tel Aviv e Gerusalemme. Superano il totale dei missili sparati in un anno da Gaza.
Più di tremila terroristi islamici sono intanto già penetrati da Gaza attraverso 29 brecce nella barriera che circonda la Striscia, che hanno aperto con le ruspe e le motoseghe. Sotto il naso degli israeliani, Hamas aveva costruito una rete di tunnel per infiltrare terroristi in territorio ebraico ed esfiltrare ostaggi israeliani. Tunnel in alcuni punti larghi abbastanza da far passare un’auto e costruiti con i soldi delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea, dei paesi arabi e dei donatori internazionali. Ma i razzi sono solo una copertura. Quella che si vuole compiere è un’invasione. Nel giro di pochi minuti, i barbari piombano su quattro basi militari al confine: Zikim, Re’im, Nahal Oz ed Erez. I soldati israeliani sono pochi in un giorno festivo. La raffica di razzi li spinge a mettersi al riparo. Chi non è ucciso sarà preso in ostaggio. Gli obiettivi erano chiari: uccidere quante più persone possibile, catturare ostaggi e portare la battaglia nel cuore del territorio israeliano. Dopo il ritiro dei coloni da Gaza, la linea del fronte è Sderot. E Sderot cade in mano di Hamas per molte ore. Una nota scritta a mano trovata addosso a un barbaro incoraggiava a decapitare e smembrare: «Affila le lame delle tue spade e sii puro davanti ad Allah!». Sir Tom Stoppard, il drammaturgo britannico, dirà: «Si tratta di una lotta per il territorio o di una lotta tra civiltà e barbarie?». Dalla sera prima è in corso il «Supernova», un festival di musica all’aperto che attrae molti giovani in una delle più belle zone d’Israele. Stanno ballando quando all’alba scendono sulla folla dei parapendii a motore. Impossibile nascondersi nello spazio aperto e in pieno giorno. Come quattro Bataclan: 364 israeliani uccisi.
La CNN mostrerà un video di un’auto con le portiere spalancate. I corpi di chi ha cercato di scappare sono riversi sulla strada, si vede il barbaro che si avvicina con un coltello, si inginocchia e inizia a staccare le teste, ripreso da una telecamera del kibbutz di Nir Oz. Trenta giovani hanno trovato rifugio all’interno di un sudicio bunker stradale fuori dal kibbutz di Re’im. Più di una dozzina uccisi, i loro corpi fatti a pezzi. Gli altri, storditi e feriti, portati a Gaza. Hamas ha pianificato anche questo: togliere a Israele ogni senso di sicurezza legato ai rifugi. Nell’aria del mattino la voce metallica degli altoparlanti dei kibbutz lancia l’allarme in ebraico. «Ai rifugi, ai rifugi!». Ma dall’esterno risuona un grido in arabo: «Yitbach al Yehud». Macelleremo gli ebrei. Chen Kugel, direttore del Centro nazionale di medicina legale, dirà: «Alcuni corpi sono bruciati a oltre 700 gradi, il che ci porta a credere che sia stata utilizzata la benzina per aumentare la temperatura. Alcune delle vittime avevano le mani legate, ed erano ancora vive, perché c’era fuliggine nella trachea. Abbiamo trovato teste separate dai corpi». L’esercito israeliano riesce a intervenire solo alla fine della mattinata. Sono combattimenti feroci mai avvenuti prima in territorio israeliano. La raccolta dei cadaveri inizia in serata. I barbari hanno dato lezioni di inferno. Uomini, donne, anziani, bambini, animali, massacrati, amputati, decapitati o bruciati vivi. Dietro la porta di ogni singola casa è avvenuto l’indicibile. A testimoniare l’orrore, i muri crivellati, le stanze bruciate, il sangue ovunque. Nelle cucine di Nir Oz, i barbari vogliono attentare alla vita e ai luoghi della vita. Non uccidono per un territorio. Uccidono per disincarnare l’umanità in un’impresa di sterminio pianificata.
Prima di abbatterle, danno fuoco alle case per costringere gli abitanti a uscire dalle loro «stanze sicure», che non possono resistere a un incendio, per ridurre in polvere ogni traccia di umanità. Vogliono eliminare la vita e la storia di queste vite col fuoco, annullarle con la morte e, oltre la morte, fino alla cremazione. Guardando e riguardando quelle immagini, viene naturale pensare che nessun paese europeo sarebbe in grado di resistere una settimana al posto di Israele. Ma Israele per quanto potrà resistere?
I barbari gridano «Allahu Akbar». Ancora e ancora. Sono felici. Sono in estasi. Non è guerriglia. È omicidio di massa. Un cane in un giardino va loro incontro. Uccidono anche lui. Si intrufolano oltre le altalene dei bambini. All’interno della casa c’è un anziano. Gli sparano. Un gemito. «Hamas ha cavato gli occhi a un uomo, tagliato il seno a una donna e le gambe della figlia», racconterà un soccorritore. Una donna è uccisa mentre carica la lavatrice. Un bambino morto è in mutande. Hadar e Itay vengono uccisi a Kfar Aza mentre cercano di proteggere i loro gemelli di dieci mesi. A Kfar Aza nessuno era abbastanza vecchio, giovane o debole per essere risparmiato. L’esercito ha impiegato mezza giornata per raggiungere il kibbutz. Sono uccisi madri, padri, bambini, giovani famiglie, nei loro letti, nella safe room, nella sala da pranzo, in giardino.
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