Ricordiamo a tutti che Avner Boskey sarà uno dei nostri relatori al prossimo Raduno Edipi Israele l’Orologio di Dio News del 26 Aprile
News del 28 Aprile 2024 Traduzione di Monica Tamagnini
Nella prima e nella seconda parte di questa newsletter ho trattato il contesto e i dettagli relativi agli attacchi missilistici iraniani contro Israele. Nella terza parte ho presentato le prospettive e gli obiettivi delle nazioni coinvolte in questa situazione. Nella quarta parte di questa newsletter mi concentrerò sulle alleanze strategiche dello stato ebraico con nazioni inaffidabili – ai tempi biblici e ai giorni nostri.
Canne rotte
Dio ha deciso di collocare il popolo ebraico in mezzo alla Via Maris – la “Via del Mare” – l’autostrada del mondo antico. Incastonati come un gioiello tra le superpotenze Egitto e Assiria/Babilonia, i re davidici si trovarono costretti a stringere alleanze con imperi che non sempre avevano a cuore gli interessi del popolo ebraico.
Le Scritture Ebraiche ci mostrano il punto di vista di YHVH in merito a questa dinamica: quando Israele stringe alleanze con le nazioni – siano esse superpotenze o meno – senza assicurarsi di aver prima sentito la voce di Dio in merito, i risultati per i figli e le figlie di Giacobbe sono sempre danni, inganni e vergogna:
- Tutti i re che erano di qua dal Giordano, nella regione montuosa, nella pianura e lungo tutta la costa del mar Grande di fronte al Libano, l’Ittita, l’Amoreo, il Cananeo, il Ferezeo, l’Ivveo e il Gebuseo udirono queste cose, e si adunarono tutti assieme, di comune accordo, per muovere guerra a Giosuè e ad Israele (Giosue’ 9:1-2). Gli abitanti di Gabaon, dal canto loro, quando ebbero udito ciò che Giosuè aveva fatto a Gerico e ad Ai, agirono con astuzia: partirono, provvisti di viveri, caricarono sui loro asini dei sacchi vecchi e dei vecchi otri da vino, vecchi e ricuciti. Andarono da Giosuè, all’accampamento di Ghilgal, e dissero a lui e alla gente d’Israele: «Noi veniamo da un paese lontano; fate dunque alleanza con noi» … Allora la gente d’Israele prese delle loro provviste, e non consultò il SIGNORE. Giosuè fece pace con loro e stabilì con loro un patto per il quale avrebbe lasciato loro la vita; e i capi della comunità lo giurarono loro… Giosuè dunque li chiamò e parlò loro così: «Perché ci avete ingannati …?» (Giosuè 9:3-4,6,14-15,22)
- Ora ecco, tu confidi nell’Egitto, in quel sostegno di canna rotta, che penetra nella mano di chi vi si appoggia e gliela fora; così è il faraone, re d’Egitto, per tutti quelli che confidano in lui. (2 Re 18:21, si veda anche Isaia 36:6)
- Guai, dice il SIGNORE, ai figli ribelli che formano dei disegni, ma senza di me, che contraggono alleanze, ma senza il mio Spirito, per accumulare peccato su peccato; che vanno giù in Egitto senza aver consultato la mia bocca, per rifugiarsi sotto la protezione del faraone, e cercare riparo all’ombra dell’Egitto! La protezione del faraone vi tornerà a confusione, e il riparo all’ombra dell’Egitto, a vergogna.
- Poiché il soccorso dell’Egitto è un soffio, una vanità; per questo io chiamo quel paese: Gran rumore per nulla. (Isaia 30:7)
- Tutti gli abitanti dell’Egitto conosceranno che io sono il SIGNORE, perché essi sono stati per la casa d’Israele un sostegno di canna. Quando ti hanno preso in mano, ti sei rotto e hai forato loro tutta la spalla; quando si sono appoggiati su di te, ti sei spezzato e li hai fatti stare tutti sui loro fianchi.” (Ezechiele 29:6-7)
Promesse non mantenute
Il principio biblico secondo cui le alleanze strette tra Israele e le nazioni, senza aver prima cercato Dio in merito, portano maledizione, si estende anche alle altre nazioni. Oggi l’America svolge un ruolo decisivo come superpotenza mondiale; gli esempi storici che seguono riguardano le relazioni USA-Israele.
Nella crisi di Suez del 1956, Gran Bretagna, Francia e Israele combatterono come alleati contro l’Egitto, che aveva nazionalizzato il Canale di Suez. La battaglia militare ebbe un successo sorprendente per gli alleati. Ma sia l’URSS che gli Stati Uniti avevano altri piani strategici: indebolire e schiacciare il dominio degli alleati in Medio Oriente e sostituire la loro influenza con quella russa o americana. L’URSS e gli Stati Uniti costrinsero i tre alleati a ritirarsi. La Russia minacciò di usare armi nucleari contro Israele, mentre l’amministrazione Eisenhower minacciò sanzioni economiche contro Israele. Le Nazioni Unite approvarono la risoluzione 997, chiedendo un cessate il fuoco immediato e il ritiro.
Il primo ministro israeliano David Ben-Gurion si ritiro’, ma pretese che gli Stati Uniti assicurassero quanto Israele chiedeva: che lo Stretto di Tiran non fosse stato nuovamente bloccato, che le navi israeliane avessero accesso al Golfo di Aqaba e al porto israeliano di Eilat e che le Forze di Emergenza delle Nazioni Unite (UNEF) non fossero ritirate dal Sinai solo su richiesta egiziana.
L’11 febbraio 1957, il presidente Dwight Eisenhower offrì a Israele un testo del Dipartimento di Stato noto come ‘aide-memoire’, affermando che “nessuna nazione ha il diritto di impedire con la forza il libero ed innocuo passaggio nel Golfo [di Suez] e attraverso lo Stretto [di Tiran, che conduce a Eilat]. Gli Stati Uniti si dissero pronti ad esercitare il diritto di libero ed innocuo passaggio e ad unirsi ad altri per garantire il riconoscimento generale di tale diritto”.
Questo memorandum affermava dunque esplicitamente che il blocco dello Stretto era da considerarsi inaccettabile e implicava che gli Stati Uniti sarebbero stati disposti a usare mezzi militari in caso di chiusura dello Stretto. Tale chiusura sarebbe infatti stata considerata come un atto di guerra. In una lettera a Ben-Gurion, successiva al promemoria, Eisenhower scrisse che Israele non si sarebbe pentito della sua decisione di ritirarsi. Ben-Gurion comunicò a Eisenhower che “considerava dunque assicurata la libertà di navigazione nello Stretto e nel Golfo di Aqaba”.
Tuttavia, nel maggio 1967 l’Egitto bloccò lo Stretto di Tiran (il Golfo di Aqaba) alle navi israeliane, tagliando così l’unica via di rifornimento di Israele con l’Asia e bloccando il flusso di petrolio dal suo principale fornitore, l’Iran. Il presidente Nasser costrinse anche le Forze di Emergenza delle Nazioni Unite a ritirarsi dalla regione e ammassò le sue truppe per un’offensiva militare di Egitto, Siria e Giordania.
Il 17 maggio 1967, l’ambasciatore israeliano a Washington, Avraham Harman, ricevette dal sottosegretario di Stato americano Eugene Rostow la rassicurazione che lo Stato ebraico “non sarebbe rimasto solo”. . . Tuttavia, con un linguaggio molto simile a quello del 13-14 aprile 2024, Rostow domando’ che Israele si consultasse con Washington prima di intraprendere qualsiasi azione militare. Rostow aggiunse che un attacco preventivo da parte di Israele in questa fase avrebbe costituito “un errore molto grave”.
Com’era allora, così e’ ancor oggi
Quando, il 23 maggio 1967, l’ambasciatore Eban fece notare al presidente francese Charles De Gaulle che la chiusura dello stretto di Tiran costituiva un casus belli (una causa legale per dichiarare guerra), De Gaulle respinse l’idea. Eban fece notare a De Gaulle che nel 1956 la Francia aveva promesso che avrebbe riconosciuto il diritto di Israele a combattere se l’Egitto avesse imposto un blocco. De Gaulle rispose con nonchalance che “il 1967 non è il 1957”. L’alto principio della libertà di navigazione nel Golfo di Aqaba, sostenuto dai francesi nel 1957, svanì nel 1967. Tre giorni dopo, anche gli Stati Uniti rinnegarono gli impegni presi nel 1957.
Il 26 maggio 1967, l’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, Abba Eban, presentò al presidente Lyndon B. Johnson la prova delle violazioni da parte dell’Egitto. Eban affermo’ che non c’era in gioco solo la possibilità di una guerra tra Egitto e Israele, ma anche la credibilità degli impegni americani. LBJ rispose sostenendo che il memorandum in questione non era stato ratificato dal Senato degli Stati Uniti e che non vi era alcun sostegno del Congresso all’intervento militare. Johnson era già molto impegnato in patria e all’estero. L’America era impantanata in Vietnam con l’aumento delle vittime e un crescente movimento contro la guerra. Le tensioni razziali latenti stavano esplodendo in violente rivolte in tutti gli Stati Uniti. Il tasso di approvazione di LBJ era al 40% e stava crollando. L’ultima cosa di cui Johnson aveva bisogno era una guerra in Medio Oriente. Ha commentato ironicamente: “Sono un texano alto, ma senza il Congresso, sono un presidente basso. . . Non ne vale la pena”. L’inaffidabilità del governo americano nei confronti di Israele fu il catalizzatore della Guerra dei Sei Giorni del 1967.
Eban ricorda che “è rimasto sconcertato dal suo incontro nello Studio Ovale, che secondo lui sottolineava l’impotenza, la paralisi e il disfattismo di LBJ”.
Secondo quanto scritto in un Memorandum al Presidente, il 5 giugno (Johnson Library, Appointment File, June 1967, Middle East Crisis): “Durante la conferenza stampa del Dipartimento di Stato a mezzogiorno del 5 giugno 1967, un giornalista chiese al portavoce del Dipartimento, Robert J. McCloskey, se confermasse la posizione neutrale degli Stati Uniti. McCloskey rispose: “Si’, la confermo. Abbiamo cercato di seguire un percorso imparziale in questo contesto. La nostra posizione è neutrale in pensiero, parole e azioni.”
In un tempestoso incontro presso il quartier generale delle Forze di Difesa Israeliane, venerdì 2 giugno 1967, il capo dell’intelligence delle Forze, Aharon Yariv, dichiarò: “Gli Stati Uniti non intendono agire e togliere il blocco navale con la forza, né intendono intraprendere passi di vasta portata per risolvere il conflitto tra Israele ed Egitto”. Il capo di stato maggiore delle Forze di Difesa Israeliane Yitzhak Rabin ha poi parlato, affermando che “Nessuno può liberarci dalla morsa militare e diplomatica che si sta stringendo attorno a noi, se non noi stessi.”
Da questa storia impariamo che le decisioni riguardanti la difesa e la sopravvivenza di Israele non possono essere affidate ad altre nazioni.
In una conversazione privata alle Nazioni Unite, l’ambasciatore americano all’ONU, Arthur Goldberg, si è avvicinato al suo omologo israeliano, Gideon Rafael, ricordandogli: “Sei solo e devi essere consapevole delle conseguenze”; poi ha aggiunto: “Se dovrai agire da solo, so che saprai come farlo”.
Patto infranto
Come sottolinea il dottor Alan Dowty dell’Università di Notre Dame: “L’efficacia di una garanzia dipende dalla volontà del garante di reagire a una minaccia e dalla sua capacità di reagire con forza sufficiente. Il timore di interrompere le relazioni degli Stati Uniti con gli stati arabi e’ stato un fattore determinante nella decisione statunitense del 1967 di non forzare l’apertura dello Stretto di Tiran nel Mar Rosso alle navi israeliane. L’efficacia di un impegno dipende dagli interessi sottostanti e dalle capacità del garante (non del garantito!). Le garanzie non costituiscono benedizioni inequivocabili”.
Il 5 dicembre 1994, Gran Bretagna, Stati Uniti e Russia firmarono il Memorandum di Budapest sulle garanzie di sicurezza, garantendo l’integrità territoriale dell’Ucraina. Alla Russia venne vietato l’uso della forza militare o della coercizione economica contro l’Ucraina, tranne che per legittima difesa. All’Ucraina fu chiesto di rinunciare al suo arsenale nucleare, il terzo più grande al mondo. L’occupazione della Crimea e del Donbass – nell’Ucraina orientale – da parte della Russia nel 2014, le sue ulteriori invasioni e la massiccia distruzione dell’Ucraina nel 2022 dimostrano quanto valgano le garanzie statunitensi e britanniche (anche queste non erano state ratificate dal Senato degli Stati Uniti).
Nel 1954 il presidente Eisenhower firmò un trattato di mutua difesa tra gli Stati Uniti e la Repubblica della Cina. Nel 1979 il presidente Carter annullò unilateralmente quel trattato – con il sostegno del Congresso – riconoscendo la posizione “una sola Cina” (https://it.wikipedia.org/wiki/Una_sola_Cina) e dichiarando che “Taiwan è parte della Cina”. La Corte Suprema degli Stati Uniti si è astenuta dall’agire, dichiarando la questione “non giudicabile”. Il trattato di difesa con Taiwan sarebbe stato sostituito dalla Legge sulle relazioni con Taiwan (Taiwan Relations Act) del Congresso del 1979, non diplomatico e militarmente non impegnativo .
I patti di difesa americani non sono affatto rigidi ed immutabili.
Tempeste nel deserto e alleanze
Moshe Arens, ex Ministro della Difesa e Ministro degli Affari Esteri israeliani, e’ autore del libro autobiografico “Patto violato: la politica estera americana e la crisi tra gli Stati Uniti e Israele” (Broken Covenant: American Foreign Policy and the Crisis between the U.S. and Israel), in cui documenta il periodo trascorso al governo durante la Prima Guerra del Golfo (conosciuta anche come “Operazione Scudo del deserto o Tempesta del deserto”). Ingegnere aeronautico, ricercatore (laureato al MIT) e diplomatico, Arens analizza attentamente l’alleanza di quel periodo tra USA e Israele e descrive come a Israele fu ordinato di non reagire agli attacchi missilistici SCUD del presidente iracheno Saddam Hussein, lanciati contro i cittadini israeliani. A Israele fu imposto di affidarsi agli Stati Uniti. Notiamo ancora dei parallelismi (ad esempio, il 13-15 aprile 2024 e questi “ordini”), come mostrato nella nostra ultima newsletter. Ecco sette esempi di perfide azioni, tratte dal libro di Arens, che mostrano come Israele sia stato costretto a conformarsi ai comandi americani e a “firmare sulla linea tratteggiata”:
- Il 10 gennaio 1991 (p. 171), l’allora Segretario alla Difesa Dick Cheney promise a Israele che la completa distruzione degli SCUD iracheni occidentali sarebbe stata una priorità militare degli Stati Uniti. Eppure, nelle sei settimane di guerra, non venne distrutto nemmeno un lanciatore mobile SCUD.
- L’11 gennaio 1991 (p. 139) Cheney sottolineò con forza l’importanza che Israele rimanesse fuori dal conflitto e non reagisse contro l’Iraq anche se i civili o i militari israeliani fossero stati colpiti. L’allora ambasciatore egiziano in Israele Mohammed Bassiouni (poi rivelato essere una spia egiziana) trasmise un messaggio (p. 131) del presidente Mubarak secondo cui Israele non aveva nulla da temere da Saddam Hussein.
- Il 13 gennaio 1991 (p. 174) l’allora vice segretario di Stato Lawrence Eagleburger insistette affinché Israele non reagisse agli attacchi SCUD, affermando di essere completamente fiducioso nella capacità americana di eliminare totalmente qualsiasi minaccia missilistica.
- Il 18 gennaio 1991 (p.178) alle 2 del mattino, i razzi SCUD cominciarono a cadere su Tel Aviv. Il segretario di Stato James Baker III ha immediatamente telefonato al ministro della Difesa Moshe Arens, esprimendo indignazione per l’attacco iracheno e sottolineando esplicitamente che il presidente Bush sperava che Israele si trattenesse dal reagire “per non mettere in pericolo la coalizione”.
- Il 19 gennaio 1991 (p. 184) il presidente Bush chiamò il primo ministro Shamir e chiese a Israele di non attuare alcun piano di ritorsione contro i lanciatori SCUD iracheni.
- Il 20 gennaio 1991 (p. 187) l’allora vice segretario di Stato Lawrence Eagleburger sottolineò che Israele doveva astenersi dall’attaccare i lanciatori SCUD iracheni se voleva mantenere un rapporto corretto con gli Stati Uniti: “C’è grande apprezzamento per la moderazione che avete mostrato. Hai molti soldi in banca a Washington. Non buttarli via!”
- Il 12 settembre 1992 (p. 247) il presidente Bush convocò una conferenza stampa per contrastare un incontro filo-israeliano dell’AIPAC a Capitol Hill. In quella conferenza stampa dichiarò che “solo mesi fa, uomini e donne americani in uniforme rischiarono la vita per difendere gli israeliani dai missili SCUD iracheni”. In verità nessun lanciatore SCUD fu attaccato o distrutto durante le sei settimane di guerra. Subito dopo quella conferenza stampa, alcuni funzionari di Washington, parlando in privato, “descrissero l’attacco presidenziale come una ‘bomba’ e una ‘dichiarazione di guerra’”.
- La realtà, ben poco allettante, rappresentata in queste interazioni rivela che gli alleati di Israele sono talvolta determinati a “strappare la sconfitta dalle fauci della vittoria”.
Menachem Begin una volta disse: “Non esiste alcuna garanzia che possa garantire una garanzia”.
Il bullo del vicinato di Dylan: non si deve reagire
In una delle canzoni più scottanti di Bob Dylan, “Neighbourhood Bully” (“Il bullo del quartiere”), egli descrive il trattamento che Israele si trova ad affrontare ogni giorno:
Il bullo del quartiere vive solo per sopravvivere
È criticato e condannato per il solo fatto di essere ancora vivo
Non deve reagire, deve avere la pellaccia dura
Deve lasciarsi ammazzare quando gli sfondano la porta
Quando lo Stato ebraico viene attaccato dai mostri jihadisti – siano essi terroristi della Fratellanza Musulmana come Hamas, terroristi sciiti come Hezbollah, Iracheni, Siriani, filo-Iraniani, l’Iran o gli Houthi – gli Israeliani vengono ammoniti e minacciati dal mondo: “Non reagite! ” Quando Israele persegue i nemici, viene trascinato davanti agli organismi mondiali per essere condannato e minacciato, sottoposto a embargo e processato. Nel giro di meno di una settimana dalle feroci atrocità di Hamas del 7 ottobre 2023 (omicidi, stupri, torture e rapimenti), gran parte del mondo si è rivoltato contro Israele. Alcuni negano o sminuiscono la ferocia di quegli attacchi, altri accusano il popolo ebraico di crimini di guerra e di genocidio – assolvendo Hamas allo stesso tempo. La scorsa settimana si e’ assistitoin tutto il mondo a manifestazioni studentesche in cui gli studenti chiedevano il genocidio contro gli ebrei e accusando Israele di aver commesso un genocidio!
E’ necessario porre una domanda a quelle nazioni e a quei manifestanti che ci dicono di non reagire:
Ci dite di non vendicarci perché siete pacifisti per natura e vedete il Sermone sul Monte come la linea guida della vostra vita?
Ci dite di non reagire perché temete che scoppierà la Terza Guerra Mondiale e state cercando di evitare questo scenario?
Ci dite di non reagire perché avete veramente a cuore il benessere del popolo ebraico?
Il Dio di Giacobbe cerca persone che abbiano il cuore di Ruth per il popolo ebraico, che siano disposte a fare con loro un patto di amore e lealtà, riconoscendo in Israele la nazione primogenita di YHVH.
Naomi disse a Rut: «Ecco, tua cognata se n’è tornata al suo popolo e ai suoi dèi; torna indietro anche tu, come tua cognata!» Ma Rut rispose: «Non pregarmi di lasciarti, per andarmene via da te; perché dove andrai tu, andrò anch’io; e dove starai tu, io pure starò; il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu, morirò anch’io, e là sarò sepolta. Il SIGNORE mi tratti con il massimo rigore, se altra cosa che la morte mi separerà da te!» Quando Naomi la vide fermamente decisa ad andare con lei, non gliene parlò più. vide che era decisa ad andare con lei, smise di parlargliene. (Rut 1:15-18)
Come pregare?
Preghiamo affinché l’intera razza umana comprenda l’importanza che Dio attribuisce ai patti – con Lui e con il popolo ebraico.
Preghiamo per il salvataggio dei circa 129 ostaggi israeliani (inclusi i bambini) rapiti da Hamas, dalla Jihad islamica e dalla PFLP/PLO. Gli ostaggi sono soggetti a torture, stupro e soffrono la fame (sulla base della testimonianza di ostaggi recentemente liberati). Purtroppo, almeno 35 di questi ostaggi sono cadaveri di cittadini israeliani, tenuti in celle frigorifere da Hamas come merce di scambio.
Preghiamo affinché la crudele dittatura di Hamas a Gaza venga debellata in modo definitivo e affinché siano spezzate le catene che legano i Palestinesi in quella regione.
Preghiamo che il ruolo giocato dall’Iran nell’inganno jihadista, nella dissimulazione e nell’antisemitismo venga esposto alla luce, riconosciuto e rigettato dai leader politici mondiali.
Preghiamo che ai governanti di Israele siano concesse giustizia e chiarezza, insieme a coraggio morale, discernimento e strategie divine per poter eliminare completamente la minaccia jihadista in ogni sua forma.
Preghiamo affinché la perdita di vite umane sia la minore possibile tra i soldati israeliani e i civili di Gaza che sono veramente innocenti.
Preghiamo per l’esercito profetico ebraico in tutta la terra secondo la profezia di Ezechiele.
Le vostre preghiere e il vostro sostegno sostengono le nostre braccia e rappresentano l’aiuto pratico di Dio per noi nell’opera che ci ha chiamato a svolgere.
Nel Messia Yeshua,
Avner Boskey