«Allo stato attuale, tutto va contro Israele. E non ha niente a che fare con i fatti, la giustizia e la verità. È il solito destino di Israele. La condotta di Israele nella guerra di Gaza sta scatenando fuoco, caos e accuse internazionali contro lo Stato ebraico. I governi dell’altra sponda del mare hanno paura della rabbia nelle loro nazioni e per questo penalizzano Israele. Per placare le proteste nei loro Paesi, condannano e giudicano Israele. Il biblico destino di Dio sta portando le nazioni e i governi alla follia spirituale e politica. “La menzogna diventa l’ordine mondiale”, come dice Franz Kafka. E ancora una volta Israele viene messo all’angolo. “Dio sta spingendo Israele in un angolo per farlo capitolare davanti a Lui”, dicono i rabbini in questi giorni.»

Questa osservazione è tratta da un articolo di Aviel Schneider pubblicato ieri sul quotidiano online “Israele heute” di cui è direttore. Da sottolineare quello che dicono i rabbini in Israele in questi giorni. Fanno riferimento a Dio. Certo – dirà qualcuno – sono rabbini, e quindi fanno il loro mestiere. Benny Morris invece fa un altro mestiere: è uno storico, e non ha bisogno di questi riferimenti. Se no, che storico sarebbe, gli direbbero subito i colleghi. E poi Morris è colui che ha dato il via alla corrente dei “Nuovi storici” postsionisti, quelli che si sono assunti il compito di desacralizzare l’ufficiale narrazione mitologica del ritorno di Israele nella sua terra.
Eppure, alla fine di un suo “scientifico” lavoro di ricostruzione di questa narrazione storica, nella sua monumentale opera “Vittime”, Benny Morris sembra non poter evitare di far riferimento a qualche elemento che sta fuori dei consueti steccati storiografici:

“Fin qui, i sionisti hanno potuto considerarsi i vincitori dello scontro. Ogni vittoria può essere spiegata alla luce di fattori concreti e specifici, ma nell’insieme il successo dell’impresa sionista appare quasi miracoloso. Come descrivere altrimenti il radicarsi, in un paese inospitale, in un impero non amico e in una popolazione ostile, di una piccola e mal equipaggiata comunità di qualche decina di migliaia di ebrei russi? Come descrivere lo sviluppo di quella comunità, sia pure all’ombra delle baionette britanniche, nonostante la crescente opposizione e violenza arabe? E la vittoria contro la coalizione araba del 1948? La nascita di un paese solido e vitale? Le vittorie in altri quattro conflitti?”

Già, come descrivere? come spiegare di essere usciti vincitori in così tanti scontri “fin qui”, che per Morris significava la fine del secolo scorso? E adesso? Si ripeteranno i miracoli?
«Allo stato attuale, tutto va contro Israele», osserva Schneider da Gerusalemme, dove è cresciuto e vive da sempre come israeliano. Forse è giunto il momento in cui Israele deve riprendere in forte considerazione il suo rapporto con Dio come nazione. Il 7 ottobre forse è crollato qualcosa non solo negli usuali contrasti destra-sinistra, ma anche nel modo in cui la nazione vive il suo rapporto con Dio. Forse è crollata definitivamente la narrazione ottimistica del sionismo laico, che indubbiamente ha fatto nascere la nazione, ma l’ha fatto prescindendo o mettendo semplicemente a contorno la narrazione biblica di Israele. Gli ebrei, che all’inizio del secolo scorso avevano creduto di risolvere il loro problema di esistenza assimilandosi nella nazione in cui vivevano, e non ci sono riusciti, dopo la seconda guerra hanno sperato di risolvere la questione ebraica assimilandosi come nazione in quel turpe coacervo di gruppi etnici denominato ONU. Così la primordiale Società delle Nazioni, opportunamente aggiornata, è riuscita a trovare il suo Ebreo tra le Nazioni da angariare. Dopo il 7 ottobre la speranza dell’assimilazionismo nazionale ebraico è definitivamente tramontata.
Torna allora per Israele il problema Dio. E se si legge con attenzione nella Bibbia, si può vedere che il problema di Israele con Dio non è il suo allontanarsi dalla Torah, ma il suo avvicinarsi agli idoli. Un avvicinamento che spesso è finito in prostrazione, dipendenza vitale, attesa di soccorso:

“Essi abbandonarono la casa dell’Eterno, dell’Iddio dei loro padri, servirono gl’idoli d’Astarte e gli altri idoli; e questa loro colpa trasse l’ira dell’Eterno su Giuda e su Gerusalemme” (2 Cronache 24:18).

Si può ripetere anche oggi qualcosa di simile? Nessuno può dirlo con certezza, ma nessuno anche può escluderlo. Dunque in un paese che non può neanche essere preso in considerazione senza fare riferimento a Dio, sarebbe forse fuori luogo fare di questo interrogativo un oggetto di discussione? Potrebbe esserci per la nazione un legame idolatrico che non solo impedisca il ripetersi di certi miracoli del passato, ma anzi funga da calamita di nuove sciagure? Propongo un nome: libertà. Precisamente, la libertà invocata dal laicismo occidentale. Nella coltura dei germi laicisti si è sviluppato un idolo. Un idolo che Israele si sente obbligato a venerare, sollecitato anche da una parte del mondo (quella buona, s’intende, quella che pratica ogni giorno il culto al supremo idolo di nome LIBERTA’), in opposizione al resto del mondo soggetto ad altri idoli con nomi diversi. Continua du NsI